Ago e filo per riparare, non solo i tessuti, qui si intrecciano fili e storie in una trama multicolore dove donne, in difficoltà, vittime di violenza, italiane e straniere, lavorano e rinascono.
La sartoria sociale Soleinsieme, a Reggio Calabria, non è solo un luogo di lavoro dove si cuce o si confezionano abiti, ma è anche un luogo di relazioni, di scambi, di condivisione, in un bene confiscato alla ‘ndrangheta.
Qui si intrecciano le storie di donne che hanno condiviso un pezzo della loro vita con le volontarie e lavoratrici della cooperativa. Alcune di loro arrivano da da Paesi lontani, ospiti in alcuni centri di accoglienza territoriali. In questi casi l’esperienza in cooperativa diventa un’occasione formativa, di approccio al mondo lavorativo, di inclusione sociale. Per alcune è stata un’occasione per apprendere le competenze base del mestiere, partecipando ai corsi personalizzati che periodicamente la sartoria propone, altre, attraverso lo strumento della borsa lavoro, hanno potuto vivere un’esperienza lavorativa a tutti gli effetti.
Jennifer, giovane nigeriana, per sei mesi ha percorso la strada da Bagaladi, paesino aspromontano, a Reggio Calabria. Tutte le mattine si è presentata puntuale in sartoria e ha realizzato l’intera linea delle borse patchwork , realizzate con il riciclo dei pacchi di caffè. C’è, poi, Huda, mamma siriana, che ha imparato a realizzare piccoli gadget come borselli portapenne, coinvolgendo anche le figlie, quando nel periodo di chiusura per il lockdown ha voluto tenersi impegnata lavorando anche da casa. Per alcune è stata solo una parentesi, altre hanno continuato a mettere a frutto le esperienze acquisite.
“Sarebbe bello, – dice la presidente della Coop Soleinsieme Giusi Nuri – che la sartoria potesse offrire molto di più a queste donne che vengono a formarsi e a cercare un’opportunità di riscatto, come è accaduto per alcune di loro che lavorano stabilmente da diversi anni, ma il sogno di crescita di questa piccola impresa non si arresta e mira a poter diventare uno strumento di inclusione e generatore di opportunità sempre più incisivo“.
La sartoria è aperta tutti i giorni, nel cortile del laboratorio chi vuole può portare i propri figli per farli giocare assieme. “Abbiamo pensato che un bene confiscato potesse essere il luogo ideale per questo tipo di attività“, afferma la presidente.
In questo stabile, nel cuore della città, si è realizzata la rete di partnariato che ha messo insieme istituzioni e associazioni per avviare la sartoria sociale e ristrutturare il bene confiscato a Giocchino Campolo, il re dei videopoker, in tempo record e con soli 21mila euro, grazie ai detenuti della Casa circondariale reggina.
Fonte: https://www.immezcla.it/soleinsieme-la-sartorie-sociale-dove-le-donne-migranti-rinascono/